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dilluns, 17 de febrer del 2014

Via da Madrid, il sogno catalano «Non per soldi, ma per dignità»

LUIGI IPPOLITO, CORRIERE DELLA SERA | 17 FEBBRAIO 2014
Verso il referendum indipendentista osteggiato dalla Spagna
BARCELLONA — Si arriva sulla Plaça Catalunya, centro pulsante di Barcellona, magari scendendo attraverso le architetture moderniste del Passeig de Gracia; o magari risalendo dai profumi del mare, su lungo la Rambla. E una volta arrivati, si è colti da un pensiero: questa città deve essere la capitale di qualcosa .
Un qualcosa che potrebbe vedere luce già alla fine di quest’anno: una nuova nazione in Europa, lo Stato indipendente di Catalogna. Perché il 9 novembre dovrebbe svolgersi il referendum sull’autodeterminazione della più ricca regione di Spagna, con i sondaggi che rilevano una costante maggioranza a favore della secessione da Madrid.
«La Catalogna rappresenta da sola il 30% delle intere esportazioni spagnole — fa notare l’economista Miquel Puig, già responsabile della politica industriale del governo di Barcellona —. Ormai esportiamo più verso l’Europa che non verso la Spagna: siamo al livello dei Paesi nordici o dell’Austria. Ma il 45% delle tasse versate in Catalogna allo Stato centrale non rientra da noi: alla fine ben l’8% del nostro Pil viene trasferito a Madrid».
Motivi economici dunque? Un altro caso di egoismo dei ricchi, sordi alle ragioni della solidarietà? I catalani quasi si offendono all’idea. «Non è solo questione di soldi — spiega il politologo Carles Boix, che insegna a Princeton, negli Usa —. La questione fiscale non è determinante nell’opinione pubblica. La richiesta di autonomia affonda le sue radici storiche fin nel Regno di Aragona, che si unì al Regno di Castiglia per formare la Spagna moderna».
Che si vada a pranzo con esponenti della società civile o a cena con giornalisti locali, tutti si accalorano a spiegare che il movente è culturale, linguistico, che è qualcosa che ha a che fare con l’identità. E tutti concordano che il punto si svolta è stata la decisione della Corte costituzionale spagnola, nel 2006, di respingere il nuovo statuto di autonomia della Catalogna. «È da quel momento — sottolinea Boix — che presero il via in città e villaggi i referendum locali auto-organizzati per chiedere l’autodeterminazione. Non è un processo partito dalle élite ma dalla società civile, culminato nelle grandi manifestazioni del settembre 2012 e 2013. Lo stesso presidente Artur Mas si è via via dovuto spostare dalla richiesta di riequilibrio fiscale con Madrid all’indipendenza».
Sullo sfondo di tutto questo, il grande timore è tuttavia il posto che una Catalogna indipendente potrebbe, o non potrebbe, occupare in Europa. «Madrid continua a minacciarci — sostiene Roger Albinyana, segretario agli Esteri del governo regionale —. Dice che finiremo isolati a livello internazionale. Che saremo espulsi dalla Ue, dalla Nato, dall’Onu, che finiremo fuori dall’euro. Ma è interesse dell’Europa tenerci dentro: il 50% delle multinazionali tedesche in Spagna, per esempio, ha sede in Catalogna. È ipotizzabile un compromesso: fuori dalla Ue, in attesa di un nuovo processo di adesione, ma dentro il mercato comune». Il più spaventato sembra essere il grande business. La Caixa, la maggiore banca di Barcellona (e terza in Spagna), si tiene alla larga dai fermenti secessionisti. I piccoli e medi imprenditori, tessuto connettivo della società e dell’economia catalana, sono più possibilisti, ma intanto preparano piani di emergenza per far fronte a ricadute economiche e commerciali.
Ma queste sono appena evocate. Le parole che ricorrono nelle conversazioni con i barcellonesi sono «rispetto» e «dignità». I catalani si sentono offesi: offesi da un potere centrale che, a loro dire, attenta all’autonomia linguistica, ignora le loro specificità, preso com’è da un impulso accentratore che si è radicalizzato con l’ascesa al potere a Madrid dei Popolari di Mariano Rajoy. Si affaccia talvolta la rivendicazione di una diversità catalana, fatta di apertura al mondo, ai commerci, agli ideali laici e repubblicani, a fronte di una Spagna cattolico-conservatrice, rurale, monarchica. Ma non si tratta di una deriva identitaria di sapore nazional-populista, come ne fioriscono in Europa di fronte ai venti della globalizzazione. Qui siamo lontani dalla retorica del sangue e suolo o dalla riesumazione di riti arcaici sulla purezza delle origini.
Per convincersene basta far visita a Oriol Junqueras, il leader della Sinistra Repubblicana, il partito indipendentista che sostiene dall’esterno il governo centrista di Convergenza e Unione del presidente Mas. Gli opinionisti concordano nel predire che in caso di nuove elezioni la Sinistra Repubblicana trionferebbe e Junqueras diventerebbe il prossimo presidente. «L’identità catalana è legata alla democrazia e alle istituzioni — argomenta —. È inclusiva, non esclusiva: qui tantissimi cittadini hanno origini, in tutto o in parte, fuori dalla Catalogna: ma è catalano chiunque condivida il nostro progetto democratico».
E il senso della parabola sta nella confidenza familiare che si lascia sfuggire Oriol Pujol, figlio del mitico Jordi, patriarca della Catalogna dal 1980 al 2003: «Mio padre ha creduto per tutta la sua vita alla possibilità di un accordo con Madrid. Ma ora che ha superato gli 80 anni mi ha confessato: “Avevo sbagliato tutto”».

dimarts, 1 d’octubre del 2013

La Lega Nord vista da Enric Juliana

Dall'articolo El caso de los catalanes di Enric Juliana - La Vanguardia 15-09-2013


[…] Alla Catalogna indipendentista è toccato un alleato più che mai scomodo nell’attuale contesto europeo. La Catalogna  è diventata il nuovo punto di riferimento della Lega Nord italiana, il movimento autonomista, dalle tinte populiste e xenofobe, che da più di vent’anni riveste un ruolo di primo piano nelle regioni settentrionali dell’Italia. Lo scorso 11 Settembre, i deputati della Lega si sono presentati al Parlamento di Montecitorio, a Roma, indossando delle magliette con la bandiera indipendentista catalana (estelada) […] 

Negli anni novanta, la Lega cercò di entrare in contatto con la politica catalana. Umberto Bossi si recò a Barcellona senza ottenere grandi risultati. Jordi Pujol rifiutò di riceverlo (Pujol conosceva troppo bene la storia italiana per andare a cacciarsi in questo ginepraio). 
Tuttavia, alcuni dirigenti di Esquerra Republicana (Sinistra Repubblicana), ai tempi in cui alla guida del partito c’era Àngel Colom, dimostrarono interesse per la Lega. Ci furono dei contatti. 

Il leader attuale dell’ERC, Oriol Jonqueras, conosce molto bene l’Italia, perché ha compiuto gli studi superiori nel Liceo Italiano di Barcellona. È improbabile che si lasci fotografare in compagnia di chi ha abbinato le rivendicazioni autonomiste a un discorso xenofobo intollerabile, e che negli ultimi mesi è arrivato al punto di chiamare “orango” la ministra dell’integrazione del governo Letta, Cécile Kyenge, nata nella Repubblica Democratica del Congo.
La Lega ha bisogno di indossare una maglietta catalana; la Via Catalana dovrebbe mantenere le distanze da Umberto Bossi e dimenticarsi delle civetterie dell’ERC.
La Padania è un’invenzione (l’Italia venne unificata nel 1860 dalla borghesia industriale del Nord). La Catalogna è una realtà storica della quale si parlava già trecento anni fa in tutte le cancellerie europee. 

Foto Alberto Gamazo da Jot Down Cultural Magazine
Trad. Sara Antoniazzi




dilluns, 16 de setembre del 2013

Us presentem: Catalonia is not Padania

Benvolguts amics,
L’11 setembre 2013, mentre més d’un milió i mig de persones a Catalunya es donaven les mans per unir-se en una cadena per la independència de més de 400 km de longitud, els diputats de la Lega Nord s’exhibien a la cambra del Parlament italià vestint samarretes amb la bandera independentista catalana.
No ens interessen gens els arguments de la Lega Nord. Ens incomoda moltíssim que l’acostament a un moviment populista, racista i xenòfob, pugui malmetre la imatge d’un procés pacífic i civilitzat, on hi participen una gran part dels ciutadans i dels partits catalans, compromesos amb mots d’ordre tals com legalitat, diàleg, europeisme.
El nostre objectiu és sensibilitzar l’opinió pública catalana a malfiar-se de les instrumentalitzacions de la Lega Nord; i, alhora, donar l’oportunitat als italians de relacionar-se amb Catalunya lliures dels prejudicis que d’aquestes mateixes instrumentalitzacions en són la principal conseqüència.
Catalonia is not Padania: la cultura i la identitat catalanes no comparteixen gens la hipotètica cultura padana de la Lega Nord.


Ens podeu seguir a  
FB  https://www.facebook.com/cataloniaisnotpadania
Twitter @CATisNotPadania

diumenge, 15 de setembre del 2013

Il terrone* catalanista

Queda poc per les 17:14. Per aquell emocionant repic de campanes que algú dubtava que succeís, banda sonora del més d’un milió i mig de mans unides. Els meus principals estats d’ànim eren admiració i emoció; immediatament després la ràbia, pel fet d’haver-ho de seguir tot davant d’una pantalla, en el pampalluguejant streaming de TV3.
    Em distreu el dring de l’Ipad. Un mail. Penso en l’enèsima piulada dels amics que m’expliquen l’emoció d’allò que en aquell moment estan contribuint a construir.
      No. És un estimat amic, de Nàpols. El text del missatge és lacònic. “Mira això d’aquí... :) què te’n deia?”; i després els link de Repubblica i del Corriere, amb vídeo i fotos dels diputats de la Lega on mostren amb fatxenderia les estelades estampades a les seves samarretes.
    Mentre els diaris de tot el món expliquen allò que ha passat i està passant a Catalunya, els diaris més importants italians (sic!), amb dues ratlles de peu d’una foto, es mostren interessats únicament per aquest element de pseudofolklore –pobre de mí!– tan nostrat. El meu humor canvia. I empitjora encara, quan la web de Internazionale a la Via Catalana hi dedica només la traducció d’un article del diari El Mundo, on els catalans són definits “frustrats”, “xantatgistes”, “traïdors”.
    M’oblido de tot gràcies només a la imatge del rellotge dalinià de Figueres (17:14!) i al repic de campanes. I més tard, a mesura que des de la meva Catalunya virtual es manifesten clares preses de posició distanciades de la “simpàtica” ocurrència dels parlamentaris de la Lega.
     No sóc un independentista català i potser tampoc tindria gaire sentit, per un italià, ser-ho. Estic fascinat per això que passa i em moc (llegeixo, navego, parlo, escric) a la recerca de claus de lectura per comprendre. Però d’una cosa n’estic ben segur: Catalonia is not Padania. Espero que els catalans en tinguin la mateixa consciència: la Lega ès allò que, en àmbit lingüístic, seria qualificat com fals amic.
   No és una qüestió (només) de llengua, història, cultura, tradició. La decadència italiana justament s’exemplifica molt bé amb l’ascens, en els últims 20 anys, de la incultura i de la grolleria d’un partit a qui no li ha tremolat el pols a l’hora de bescanviar la Padània (que no existeix) per alguna cartera ministerial al Govern estatal, en companyia de la dreta berlusconiana i postfeixista.
      No he vist ni he llegit mai sobre nacionalistes que, en nom de Catalunya lliure, llancin plàtans a una dona negra [ministra d’Integració], fins i tot després que un dels seus importants representants polítics l’hagués definida públicament “orangutan”. Tampoc no he vist ni he sentit mai que camises quadribarrades organitzades en patrulles, es dediquin a la “simpàtica” tradició padana de caçar immigrants (com si de colles sardanistes o castelleres es tractés).
L’única patrulla que avui em ve al cap és aquella fascista que, fent irrupció a la seu de la Generalitat a Madrid, ha interromput violentament les celebracions de la Diada. Vet aquí -en aquest cas sí- que venen ganes d’estar, per prejudici, a la trinxera contrària respecte a aquells energúmens. Davant d’ells, m’he sentit, profundament i orgogliosament, català.
     Ahir, en aquella interminable filera que es donava les mans, un politòleg espanyol, Ramón Cotarelo, va piular: “tot i que sembli absurd, els catalans són la esperança d’Espanya”. Després d’aquell missatge, jo també, terrone* napolità que navega a vista en la degradació, he madurat una esperança: reconqueriu-nos, catalans! Amb la vostra passió, el vostre civisme, la vostra determinació.
        A conquerir-me a mi, de moment, ja ho heu aconseguit.





* Italià del sud (nom pejoratiu utilitzat aquí irònicament).