divendres, 24 de gener del 2014

La visita di Maroni a Barcellona. Informazione e propaganda

Gennaro Ferraiuolo*

Articolo uscito sul giornale digitale Vilaweb il 23.01.2014 in italiano e catalano

'Fascista', 'xenofobo', 'razzista". Visita 'scomoda', 'imbarazzante', 'inopportuna'. 'Maroni non è benvenuto': in catalanoitaliano e inglese, per evitare residuassero dubbi. Queste le formule ricorrenti nella stampa catalana di questi giorni, riferite a Roberto Maroni e al suo incontro con Artur Mas. Coerenti con queste premesse, il basso profilo voluto dalla Generalitat per la riunione (incontro rigorosamente privato, nessuna conferenza stampa, né foto né riprese), il comunicato diffuso dal govern al termine dell'incontro e la bella lettera di Mas al quotidiano italiano La Repubblica ('Lo spirito catalano'), pubblicata il giorno dopo la visita.

Domenica l'Ara pubblica una intervista a Maroni. L'impressione che se ne trae è in forte contraddizione con lo scenario sopra descritto: ne viene fuori un personaggio politico di tutto rispetto, con cui i catalani possono trovare piena sintonia. Tutt'al più un perseguitato dalla stampa (e dai giudici) italiani, che offrono un'idea distorta della Lega e dei suoi uomini.

Lo stesso giornale, lo stesso giorno, pubblica anche un articolo di Sebastià Alzamora in cui si parla 'de la molt xenofoba Lliga Nord [...] una de les forces europees que han donat un suport mes clar a la penosaPlataforma per Catalunya'.

Complessivamente, dunque, una visione manichea di Maroni e della Lega, che sollecita qualche riflessione. La prima: la Catalunya si mostra, come nella sua tradizione, uno spazio democratico e plurale. Nella medesima dimensione comunicativa - anzi nelle pagine della stessa edizione di un quotidiano - vengono fuori schizzi assai diversi di un uomo politico e del suo movimento; ciascun lettore, in tal modo, ha a sua disposizione molteplici chiavi di lettura per costruire, criticamente, le proprie idee.

Proprio in questa prospettiva però, se si vuole offrire un contributo alla chiarezza e alla tensione al vero, occorre chiedersi su quali fatti trovino riscontro le risposte di Maroni. Anche perché, se così non si facesse, i mezzi di informazione rischierebbero facilmente di trasformarsi da cane da guardia del potere nel suo megafono.

Il dichiarato europeismo della Lega, che stringe 'patti di ferro' con Marie Le Pen o con altri alleati discutibili, è compatibile con una idea democratica d'Europa, con l'idea che i catalani hanno dell'Europa? E' razzista un partito che utilizza come strumenti di contrapposizione politica espressioni come 'negro''orango''ebreo', 'finocchio'? Non si tratta di fenomeni di costume - gravissimo, per una democrazia civile, considerarli tali - ascrivibili a qualche isolato militante, ma condotte poste in essere da persone che rivestono (o hanno rivestito) posizioni istituzionali di primissimo piano: parlamentari, europarlamentari, ministri della Repubblica.

A leggere l'intervista, tutto ciò sarebbe solo il frutto di pregiudizi e di propaganda. E' vero. La Lega è vittima della propaganda: di quella stessa propaganda che utilizza per conquistare consenso parlando alla pancia delle persone. In un paese normale, per far capire cosa è la Lega, non sono necessarie inchieste complesse o materiali di difficile reperimento. E' sufficiente utilizzare gli stessi manifesti che il partito confeziona per campagne elettorali o di opinione, le pagine del suo organo di stampa ufficiale (La Padania), i programmi dei dibattiti che organizza, le dichiarazioni di suoi noti esponenti.

Anche il capitolo immigrazione viene liquidato nell'intervista in termini semplicistici. Non si tratta di discutere la reale o presunta somiglianza tra le diverse legislazioni europee in materia. Le 'innovazioni' introdotte dai governi Berlusconi-Lega (di cui Maroni ha fatto stabilmente parte nelle vesti di ministro) sono state oggetto di numerosi interventi della Corte costituzionale (ancora un complotto?) e delle giurisdizioni sovranazionali (ecco che il complotto diventa europeo).

Ma lasciando da parte la legge, esiste una dimensione etica e morale: quando le regole si rivelano inidonee a contenere i flussi migratori (per la non adeguatezza delle regole stesse o per la portata del fenomeno) uomini di diverse origini e cultura sono destinati a guardarsi faccia a faccia. Il leghista, che invoca una 'Europa cristiana' per contenere la 'invasione islamica', dimentica, anche di fronte alla estrema sofferenza del suo simile, i valori basilari della cristianità e si lancia in affermazioni che non meritano neanche di essere commentate.

Questi sono i fatti su cui si basa l’immagine della Lega che ha, mi è parso di capire, la maggior parte dei catalani. Se essi sono falsi ed esistono fatti diversi, in grado di suffragare le affermazioni che Maroni ha reso alla stampa, sarebbe importante saperlo. Per l'Italia, la Catalunya, l'Europa.



* professore in Diritto Constituzionale a l'Università di Napoli Federico II


dissabte, 18 de gener del 2014

Lettera di Artur Mas al giornale La Repubblica

La Repubblica, 18-01-2014, pag. 25

SPIRITO CATALANO
Artur Mas
Caro direttore, la Catalogna è notizia. Quella che secondo il nostro grande scrittore Josep Pla, fu definita la “regione più occidentale d’Italia” attira l’attenzione perché malgrado immensi problemi è all’avanguardia in modernità, innovazione, benessere. Lo è anche perché dal 2010 ha intrapreso una strada: chiedere ai suoi cittadini, per la prima volta, se vogliono diventare uno stato d’Europa. Un processo democratico, pacifico, e che non vuole escludere nessuno.
La proposta di uno stat catalano è tutto il contrario del vittimismo. Ciò che oggi da energia e fa crescere l’entusiasmo per la causa catalana è precisamente il suo atteggiamento costruttivo: non si vuole attaccare la Spagna, vogliamo semplicemente votare per decidere il nostro futuro. Il movimento per la sovranità nazionale catalana non ha nulla contro i cittadini spagnoli; il conflitto è con i poteri dello stato spagnolo, perché contro  la società catalana ci sono, oltre alla mancanza di riconoscimento, anche un trattamento ingiusto e lesivo. Siamo una nazione d’Europa, siamo europei,  vogliamo continuare ad esserlo e vogliamo esprimerlo votando.
In nessun caso il movimento per la sovranità catalana è espressione di un nazionalismo etnico, vittimista e antispagnolo. Il catalanismo è sempre stato civile, un elemento di modernizzazione e apertura in una Spagna tradizionalmente chiusa. Durante il franchismo, il partito comunista catalano, il PSUC, sulle orme di Berlinguer, fu determinante nel vincolare alla tradizione catalana il movimento operaio e l’immigrazione proveniente dalle regioni più povere della Spagna.
Il presidente Jordi Pujol, fondatore del mio partito, Convergència Democràtica, imprigionato durante il franchismo, è l’autore di quella che ancor oggi è la definizione più diffusa: “È catalano chi vive, lavora in Catalogna e lo vuol essere”. Alla catena umana che l’11 settembre scorso riunì 2 milioni di persone si ascoltavano molte lingue: catalano, spagnolo ma anche arabo e romeno. La Catalogna è una terra in cui ciò che conta veramente non è la propria origine ma il destino che si cerca.
I governi guidati dal mio partito hanno deciso di dare la copertura sanitaria pubblica a tutti gli immigrati. Il mio predecessore, José Montilla, è nato in Andalusia, al sud della Spagna. Come ricorda il professor Francesc-Marc Alvaro, gli esperti internazionali più accreditati situano il caso catalano tra i movimenti nazionali basati sullo “ius soli”, molto diversi e lontani dai nazionalismi etnici, escludenti e aggressivi, basati sullo “ius sanguinis”.
L’Unione europea ha una lunga tradizione come terra d’accoglienza delle persone che sono arrivate in cerca di un futuro, ma bisogna migliorare le politiche di collaborazione tra gli stati che la compongono. Ci vogliono inoltre politiche sociali di ambito europeo che tengano ben presenti i diritti, la dignità e il rispetto che merita ogni essere umano, indipendentemente dalle sue origini, razza o religione.
Termino con le parole di Fermí Santamaría, sindaco di un piccolo paese catalano e del mio stesso partito; è nato a Cadice in Andalusia da dove, diciottenne, se n’è andato per arrivare in Catalogna, come tanti altri, a cercare un futuro migliore. Racconta sempre le parole che sua madre gli disse prima di partire: “Non dimenticare mai la terra che ti ha visto nascere, ma lavora e lotta per quella terra che ti vedrà crescere”. Questo è la Catalogna.

L’autore è presidente della Catalogna


Link del giornale La Repubblica con l'articolo pubblicato 
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/01/18/spirito-catalano.html

Link della presidenza della Generalitat con l'originale in catalano
www.president.cat/pres_gov/AppJava/president/notespremsa/notapremsa-242170.html?mode=static








dimecres, 15 de gener del 2014

Roberto Maroni non è il benvenuto (Vilaweb)

Roberto Maroni, presidente della Lombardia e leader della xenofoba Lega Nord, arriva domani in Catalogna con un obiettivo chiaro: approfittare della risonanza internazionale del processo indipendentista catalano. Dato il suo ruolo istituzionale di presidente della regione Lombardia è impossibile evitare la visita, però proprio per questo abbiamo, tutti, la responsabilità di chiarire che questo personaggio non è il benvenuto e anche che il movimento civico e politico catalano non ha niente a che vedere con ciò che egli rappresenta.

La Lega Nord è un movimento populista e xenofobo che usa un’identità inventata, quella della Padania, per raccogliere adesioni popolari ad un movimento contrario al sentimento pluralista, aperto a tutti e democratico che è la base dell’idea di sovranità catalana.
Qui non chiediamo a nessuno da dove viene, sennò che cosa vuol essere. Qui crediamo che la società sia più ricca quando è più composita. Qui lottiamo per il progetto di uno stato al servizio di tutti, senza distinzioni ne’ privilegi. La nazione catalana ha un grande passato ma oggi è il futuro che ci interessa di più, e in questo futuro c’è posto per tutti senza distinzione d’origine, di lingua, di religione, di cultura. È sempre stato così e sempre lo sarà.


Quando, nel 2009, cominciarono i referendum popolari per l’indipendenza, il movimento per la sovranità nazionale catalana vide subito chiaramente che tutti dovevano avere diritto di voto, inclusi naturalmente anche gli immigranti arrivati più di recente. Non si può costruire un paese lasciando ai margini la gente che già ci vive. E questa non era una decisione di circostanza ma aveva radici profonde nella tradizione del catalanismo, che il presidente Pujol aveva affermato con la frase secondo la quale “è catalano chi vive e lavora in Catalogna”.

È solo in mala fede, quindi, che si può mescolare il nostro movimento con quest’altro, la Lega Nord, che proclama come prassi politica la differenza fra i cittadini del suo stesso paese
E non solo: credo che siamo tutti d’accordo a lavorare dalla Catalogna perché l’Europa non cada mai nel buco nero dove quelli della Lega vorrebbero ficcarci tutti.


Editorial de Vicent Partal Roberto Maroni no és benvingut Vilaweb del 15.01.2014